L’inclusione della neurodivergenza in azienda

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Quando si parla di diversità all’interno del contesto aziendale, viene spontaneo pensare all’eterogeneità culturale-generazionale e alle disabilità, cui vengono solitamente dedicate politiche interne volte all’inclusione.

Tuttavia, non va dimenticato che lo spettro della diversità è molto più ampio e include categorie spesso invisibili, come quella delle persone neurodivergenti.

Ma cosa s’intende con “neurodivergenza” ?

Se diamo uno sguardo al dizionario, troveremo che il termine neurodivergente è stato utilizzato per la prima volta nel 2013 per indicare “chi ha un funzionamento neurologico differente da quello che è considerato tipico o normale” (Accademia della Crusca) o, approfondendo ancora di più il tema, per indicare chi presenta una capacità di elaborazione delle informazioni che si discosta dalla norma e che comporta una gestione atipica dei dati sensoriali, emotivi, sociali e cognitivi.

Ad oggi, si stima che una persona su sette presenti una forma di neurodivergenza, che può tradursi in sfumature diverse di pensiero e comportamento capaci di caratterizzare ogni individuo per elementi di forza e debolezza differenti, generando talenti unici.

Risulta perciò fondamentale che le aziende siano consapevoli del valore aggiunto che la neurodivergenza può apportare e di quanto sia importante abbracciare attivamente le diversità, adottando strategie e politiche aziendali che consentano a tutti di esprimere il proprio potenziale al meglio.

In senso più ampio, la neurodivergenza può includere diverse condizioni, come ad esempio l’autismo, l’ADHD, la dislessia, la sindrome di Tourette e altri profili neurologici che, sebbene possano sembrare sfidanti, portano con sé una serie di abilità uniche, quali il pensiero laterale, una capacità di concentrazione intensa, creatività fuori dagli schemi e approcci innovativi alla risoluzione dei problemi.

L’inclusione della neurodivergenza richiede però un cambio di paradigma, passando da un approccio di “adattamento” ad uno di “accoglienza”.

Questo significa che le imprese dovrebbero impegnarsi a modificare aspetti come la selezione del personale, la comunicazione interna e la progettazione degli spazi di lavoro, al fine di consentire ai soggetti neurodivergenti di svolgere le proprie mansioni in un ambiente che risulti a loro accogliente e stimolante. Ad esempio, durante il processo di reclutamento, potrebbe essere utile fornire più opzioni per i colloqui (come colloqui video o scritti) e porre domande che valorizzino le capacità pratiche e di pensiero piuttosto che le competenze sociali.

Allo stesso modo, ambienti lavorativi più flessibili in cui si tengano in considerazione necessità legate a stimoli sensoriali e/o a pause regolari, potrebbero favorire il benessere e la produttività dei dipendenti neurodivergenti.

Un altro elemento chiave è sicuramente rappresentato dalla formazione di tutto il personale, affinché si sviluppi una consapevolezza diffusa dei modi di percepire, elaborare informazioni e reagire agli stimoli esterni dei soggetti neurodivergenti, di modo da facilitare una collaborazione più empatica e produttiva.

Di fatto, promuovere la neurodivergenza in azienda non rispetta solo i valori di inclusività e uguaglianza, ma consente anche di attingere ad una risorsa preziosa e spesso trascurata: la diversità cognitiva. Valorizzare queste differenze significa permettere a ogni dipendente di sentirsi accolto e sostenuto, e riconoscere che nella varietà dei modi di pensare si nasconde una vasta gamma di soluzioni innovative, in grado di portare le aziende verso un futuro più prospero e inclusivo.

Per approfondire il tema:

                                                                                                     

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Ufficio Anthea Group

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