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La comunicazione non violenta – Prima parte

Data di pubblicazione

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La comunicazione non violenta

Di Yara Bravo

Uno degli aspetti che mi ha maggiormente colpita durante il primo lockdown di primavera è stata la reazione di molti italiani: nella solitudine, nell’impossibilità di entrare in contatto, nella insolita immobilità, abbiamo riscoperto l’altro.

Il bisogno di creare un legame, di avere delle relazioni, di condividere gli spazi. Tutte cose che fino a qualche settimana prima erano vissute con insofferenza soprattutto nelle grandi città, sovrappopolate e caotiche.

Mi sono chiesta se questo insight collettivo ci avrebbe aiutati a cambiare il nostro modo di entrare in relazione gli uni con gli altri, a generare empatia e comprensione, a modificare il nostro modo di parlare e comunicare.

Purtroppo, questo secondo quasi-lockdown mi dimostra che la strada è ancora in salita, che la vetta lontana e che il nostro modo di comunicare è ancora espressione di una modalità “violenta” di relazionarci gli uni con gli altri.

Ma cosa si intende per comunicazione “violenta”?

Se definiamo l’essere “violenti” come qualcosa che è capace di arrecare un danno a noi stessi o agli altri, ci sarà facile capire che molto nel nostro modo di comunicare rientra in questa definizione Ogni volta che:

  • giudichiamo gli altri,
  • siamo prepotenti,
  • cadiamo nel razzismo anche inconsapevolmente,
  • puntiamo il dito contro qualcuno,
  • discriminiamo gli altri,
  • parliamo senza ascoltare,
  • critichiamo gli altri o noi stessi,
  • offendiamo, reagiamo aggressivamente,
  • entriamo in una logica buono/cattivo o giusto/sbagliato.

Tutti gli esseri umani hanno un’innata capacità di compassione, empatia e comprensione, ma è facile allontanarci da questa modalità naturale quando vogliamo averla vinta, o far valere il nostro punto di vista su quello degli altri. Il problema è che quando otteniamo quello che vogliamo facendo leva su sentimenti negativi come la paura, il senso di colpa, la vergogna o la coercizione, la nostra vittoria è limitata e il rischio è non solo di far soffrire l’altro, ma anche di causare sofferenza a noi stessi nel breve periodo.

La comunicazione “violenta” non è necessariamente offensiva o cattiva. Spesso è del tutto involontaria.  È il nostro modo abituale di comunicare con gli altri ed è il loro modo abituale di comunicare con noi.

Ma esiste un altro modo di comunicare e relazionarci attraverso la comunicazione non violenta, un processo grazie al quale possiamo imparare a esprimere in modo chiaro e onesto i nostri bisogni e i nostri sentimenti, lasciando spazio a quelli altrui.

Vediamo meglio che cos’è.

La Comunicazione Non Violenta (CNV) è un processo di comunicazione creato dallo psicologo Marshall Rosenberg, nel suo libro “Nonviolent communication: a language of life” (in italiano suggerisco, “Le parole sono finestre (oppure muri)”). In questo libro, Rosenberg pone l’accento sul fatto che la comunicazione, sia verbale che non verbale, è una forma di scambio e negoziazione tra parti: possiamo eseguire questi scambi con o senza compassione.

La CNV si basa sul presupposto che la comunicazione compassionevole produca risultati diversi rispetto alla comunicazione non compassionevole e che queste differenze abbiano un impatto significativo sia a livello individuale che sociale. Questo modo diverso di comunicare può essere usato in ogni contesto (nelle relazioni di coppia, in famiglia, a scuola, nelle organizzazione, nelle negoziazioni commerciali, per risolvere conflitti…).

Cerchiamo di capire come metterlo in pratica

Ci sono 4 passaggi e 2 parti per la comunicazione non violenta: li vedremo nel prossimo articolo! Stay tuned!

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